Assicurazioni vita, le clausole da considerare nulle

Ci sono delle clausole che le compagnie di assicurazioni non possono inserire nei contratti delle polizze vita e che, se presenti, devono essere considerate nulle. Si tratta di postille di carattere vessatorio, che hanno il solo scopo di complicare le procedure di riscossione di eventuali premi da parte dei beneficiari.

Ad indicarle è stata la Corte di Cassazione lo scorso 20 agosto, nella sentenza n. 17024 emessa dalla III sezione civile. Ora le compagnie assicuratrici dovranno eliminarle dai contratti proposti alla clientela e, in ogni caso, non potranno richiederne l’applicazione da parte dei beneficiari delle polizze.

Le richieste vessatorie, e quindi nulle. Risulta illegittima la pretesa di una serie di adempimenti onerosi, richiesti al beneficiario per riscuotere l’indennizzo di una polizza sulla vita. In particolare, le società di assicurazioni non possono richiedere di:
– sottoscrivere una domanda su apposito modulo predisposto dall’assicuratore, e per di più farlo presso l’agenzia di competenza;
– produrre una relazione medica sulle cause della morte, scritta da un medico su un modulo predisposto dall’assicuratore;
– produrre una dichiarazione del medico autore della relazione di cui sopra, nella quale questi attesti di avere “personalmente curato le risposte”;
– produrre, a semplice richiesta dell’assicuratore, le cartelle cliniche relative ai ricoveri subiti dall’assicurato;
– produrre un atto notorio “riguardante lo stato successorio” dell’assicurato deceduto;
– produrre l’originale della polizza.

I motivi della sentenza. La suprema Corte ha considerato le clausole nulle ai sensi dell’art. 33, comma 2, lettera q, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206. In particolare, la richiesta di formulare la domanda di indennizzo su un modulo predisposto dall’assicuratore contrasta con il principio di libertà delle forme nella materia delle obbligazioni, mentre quella di doversi recare presso l’agenzia di competenza è contraria al principio di libertà personale e di movimento del beneficiario.
Chiedere di produrre una relazione medica sulla morte dell’assicurato “pone un rilevante onere economico a carico del beneficiario e, ancor più grave, gli trasferisce l’onere di documentare le cause del sinistro, onere che per legge non ha”. L’unico obbligo dei beneficiari è quello di “provare l’avverarsi del rischio e, quindi, la morte della persona sulla cui vita è stata stipulata l’assicurazione”.
Inoltre la possibilità, a semplice richiesta, che il beneficiario debba fornire le cartelle cliniche relative ai ricoveri della persona deceduta “non è soggetta a limiti temporali, è di “sconfinata latitudine” e pone a carico del beneficiario le spese di estrazione delle relative copie, nonché l’onere di contrastare il possibile rifiuto delle strutture sanitarie giustificato dalla tutela della riservatezza”.
Infine risulta inutile la richiesta di un atto notorio sullo stato successorio del deceduto, poiché il beneficiario “acquista il diritto all’indennizzo jure proprio e non a titolo ereditario”, così come è inutilmente gravoso produrre l’originale della polizza, perché l’assicuratore la possiede già.

Via le clausole vessatorie dai contratti. Per ribadire quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni (Ivass) il 17 novembre ha inviato una lettera alle compagnie assicuratrici, invitandole a eliminare le postille dai nuovi contratti di assicurazione sulla vita e a non pretenderne l’applicazione nella gestione delle richieste di indennizzo relative a polizze già stipulate.